C’era una volta, in un paese non tanto lontano, un bambino di nome Edward.
Era fulvo di capelli con boccoli che gli cadevano sulle spalle, occhi neri e penetranti, la pelle color cioccolato.
Edward aveva otto anni e viveva con i suoi genitori in una casa in riva al mare.
Quella casa era molto bella. La sua mamma aveva saputo arredarla splendidamente e il suo papà aveva coltivato, intorno ad essa, un bellissimo giardino.
Edward non aveva mai avuto nulla di simile, perché era un bambino venuto dall’Africa. I suoi veri genitori non sapeva chi fossero. La sua mamma, non l’aveva mai abbracciata; il suo papà non aveva mai fatto cavalluccio con lui. Ora aveva tutto!!! Giochi, abiti, scarpette da calciatore, pallone, pattini, skateboard, andava persino a scuola!
Edward però era triste. Il colore della sua pelle non era bianco e per questo tanti bambini lo emarginavano e non lo facevano partecipare ai loro giochi.
Quando si affacciava dal balcone della sua casa e guardava il mare, a volte calmo, a volte burrascoso, il suo sguardo raggiungeva sempre quel piccolo faro giù in fondo alla scogliera e i gabbiani che prendevano il volo; sognava la sua Africa e i suoi colori. Anche di notte, quando non riusciva a dormire, lo guardava. Guardava quella sua luce che indicava la rotta ai naviganti che facevano ritorno al porto.
-“Chissà chi abita in quel faro?”- si domandava ogni volta Edward. Era proprio curioso di scoprirlo! Seguiva con lo sguardo i gabbiani che volavano sopra di lui. Volavano, si posavano e ripartivano.
Una notte Edward si svegliò di soprassalto. C’erano tuoni, lampi e raffiche di vento. Si alzò impaurito. Quasi aveva pensato di andare nel lettone con suoi genitori, ma pensò di andare prima alla finestra e di lanciare un’occhiata al faro così non si sarebbe più sentito solo. Ahimè, il faro non si vedeva; solo pioggia e buio; non c’era alcuna luce che potesse infondere sicurezza. Solo, a tratti, il bagliore dei lampi o il fulgore improvviso e minaccioso di saettanti fulmini.
Sempre più triste si rimise nel suo letto, abbracciò il cuscino e ripensò alla ninna nanna che ogni tanto gli aveva cantato sua nonna Emily (l’insegnante dell’orfanotrofio) e così si riaddormentò.
Quando Edward alla mattina presto si svegliò, andò subito alla finestra. La tempesta si era placata, stava per spuntare una bellissima mattina di primavera e… meraviglie delle meraviglie, nel cielo c’era uno splendido arcobaleno che si incurvava, ampio, fino a toccare il faro. La sua luce, nel punto in cui si posava sulla sommità della costruzione, sembrava volersi fondere con la luce intermittente del faro, negli ultimi palpiti di quest’ultima, prima del silenzio diurno. Voleva forse “indicare” qualcosa?
Senza dire nulla ai suoi genitori, Edward decise quel giorno di non andare a scuola e, con zaino alle spalle, si incamminò oltre il confine che gli aveva detto il suo papà di non oltrepassare.
Il mare era bellissimo. Le onde si infrangevano sugli scogli e l’odore della salsedine entrava nelle narici del piccolo Edward. Il freddo pungente portato dalla tempesta della notte si faceva sentire, così allacciò il giubbotto, mentre con uno sguardo ammirava i gabbiani che volano sopra di lui e ne ascoltava il pigolio come se fosse la prima volta. Si sentiva libero Edward. Libero di correre, libero di ascoltare il suo cuore, libero di raggiungere quel desiderio nascosto di conoscere chi abitava il faro.
Corse per circa un quarto d’ora, e d’improvviso si trovò su una strada diritta: il faro era là davanti a lui.
Rallentò il passo; la mattina era ormai inoltrata l’arcobaleno non c’era più. Anche le nuvole se ne erano andate e avevano lasciato il posto ad un azzurro spettacolare; il suo cuore batteva forte sia per la corsa fatta, sia per l’emozione di essere vicino al faro. Lo guardò ancora prima di giungere sotto: il faro era bellissimo. Si stagliava davanti a lui in una costruzione semplice; sembrava che la sua punta volesse toccare il cielo. Era tutto bianco con delle piccole finestrelle aperte sul mondo e sul mare. Vicino alla sommità, una larga fascia rossa lo contornava e gli conferiva fierezza!
Si avvicinò a passo lento. Sulle strette scale bianche dell’accesso tra due cespugli di ginestre, gialle come il sole, un uomo, anzi, un vecchio stava seduto. Guardava i gabbiani che mangiavano le molliche di pane che gli aveva appena gettato.
Il vecchio, sentendosi osservato, alzò lo sguardo e vide il piccolo Edward davanti a lui.
Rimase in silenzio per alcuni instanti poi gli disse: -“Ciao, ragazzo, dove stai andando?”.
Edward non sapeva se rispondere o scappare, ma quel signore infondeva in lui sicurezza e così gli disse: -“Avevo un desiderio nel mio cuore. Sono venuto a vedere chi abita nel faro!”.
Ed il vecchio, lanciando ancora molliche di pane ai gabbiani gli disse: -“Come sai che qui c’è un faro? Chi te l’ha detto?”. Edward, indicando un punto lontano, rispose: -“Abito in quella casa laggiù alla fine della scogliera e tutti i giorni guardo il faro. Guardo quella luce sulla punta che viene e va. Sei tu che abiti qui?”.
Il vecchio, guardandolo con i suoi occhi scuri e penetranti gli chiese: -“ Come ti chiami, figliolo?”.
Edward si sentiva a suo agio e sedette accanto a quell’uomo dal viso dolce e malinconico. Guardò le sue mani piene di molliche di pane e rispose: -“Mi chiamo Edward, signore!”.
Il vecchio allora allungò verso di lui la mano libera -“ Piacere Edward. Io mi chiamo Jhon e sono il guardiano del faro”. Edward tese la sua mano con timore perché mai nessuno aveva avuto la delicatezza di stringergliela. Si sentì così grande vicino a quell’uomo che non conosceva che, meravigliato e stupito, gli sorrise tendendogli la mano con fierezza. La sua mano color cioccolato e quella bianca del vecchio Jhon si strinsero con forza.
Improvvisamente, un vociare di bambini che proveniva dalla parte superiore del faro, catturò l’attenzione di Edward. I gabbiani volarono via impauriti ed egli alzò lo sguardo verso le finestrelle aperte sul mondo e sul mare. Jhon, che scrutava il piccolo Edward, gli chiese: -“ Vuoi salire? Su, ci sono altri ragazzi come te. Giocano, studiano, suonano, fanno amicizia tra di loro. Hanno tutti la loro storia. Ognuno con le sue piccole e grandi sofferenze. Qui imparano, la libertà, l’accogliersi così come si è. Li vuoi conoscere? C’è posto anche per te”.
Edward si sentì invitato a salire, ma alzò il suo sguardo verso il vecchio Jhon -“Perché tu che sei così vecchio sprechi tempo con i bambini? Chi te lo fa fare? A volte siamo solo dei rompiscatole non ti pare?”.
Il vecchio Jhon appoggiò la sua mano sul capo di Edward pieno di riccioli e gli disse:-“ Sai Edward, anche io alla tua età avevo un desiderio da realizzare. Jhon guardò l’immensità del mare, guardò oltre l’orizzonte e continuò a dire: -“All’età di nove anni feci un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a casa, in un cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. All'udire quelle bestemmie mi lanciai subito in mezzo a loro, adoperando pugni e parole per farli tacere, ma ben presto Qualcuno mi fece capire che non con le percosse, sebbene con la mansuetudine e con la carità dovevo guadagnare il cuore di quei ragazzi”.
Scese un profondo silenzio tra di loro. Si udiva solo il pigolio dei gabbiani che volavano nel cielo e Jhon, sempre guardando il mare, continuò a raccontare: -“Ho donato tutta la mia vita per i giovani, tutto il mio tempo, perché, vedi Edward, la prima felicità di un fanciullo è sapersi amato”.
Due lacrime scesero dal volto del vecchio Jhon. Erano lacrime piene di commozione per i tanti ragazzi che aveva conosciuto e amato. Ritornavano nella sua mente, volti, situazione, famiglie. Rivivevano nel suo cuore, sentiva tutta la gioia per aver speso la sua vita donandosi a loro incondizionatamente.
Edward, quando vide le lacrime scendere dal volto del vecchio Jhon, alzò la mano color cioccolato e asciugò con una delicata carezza il volto del vecchio.
I loro sguardi si incrociarono.
“Jhon, anche io voglio essere felice, sentirmi amato!”.
Jhon lo attirò a se e lo abbracciò forte. Non erano necessarie altre parole tra loro; il cuore di Edward gli suggeriva che aveva davanti a sé un uomo buono e sincero.
“Edward” disse il vecchio Jhon, appoggiando le mani sulle sue spalle “C’è Qualcuno che ti ama più di quanto tu possa immaginare! È Colui che ti ha creato, pensato, desiderato fin dall’eternità. Tu non lo vedi, ma ti assicuro che vive accanto a te, tra i tuoi amici, vive in te, vive nell’amore della tua mamma e del tuo papà”. Edward si rattristò perché non capiva tutto quello che diceva Jhon, non capiva il sogno che lui gli aveva raccontato, non capiva chi era quel “qualcuno” che lo amava. Quell’uomo come poteva conoscere le sue sofferenze? Cosa poteva saperne della sua vita? Ma lo ascoltò attentamente, certo che poteva fidarsi di lui.
Jhon continuò: -“ Edward, hai mai detto ai tuoi genitori VI VOGLIO BENE?”.
Edward volse il suo sguardo lontano, al di là dell’orizzonte; adesso era lui che aveva le lacrime agli occhi.
Asciugandosi con i piccoli pugni color cioccolato le lacrime disse a Jhon:-“ Io non ho mai conosciuto i miei genitori. Vengo dall’Africa e ho vissuto la mia infanzia in un orfanotrofio. Sono stato adottato da una famiglia e viviamo là nella casa in fondo alla scogliera. Non ho amici, non vogliono giocare con me perché la mia pelle è di un altro colore ”.
Jhon invitò Edward a sedersi di nuovo accanto a lui e gli disse:- “Caro Edward, la vita a volte ci riserva delle esperienze dolorose, ma non per questo è meno bella. Che importa il colore che hai? I tuoi genitori non hanno guardato al colore della tua pelle, né se eri ricco, né se eri africano. Ti hanno amato pur non conoscendoti. Hanno avuto un cuore grande. E ricorda Edward, tutti abbiamo un cuore ed il cuore deve saper amare senza muri, senza barriere, senza discriminazioni. Un cuore che si sente amato sa anche riversare quello stesso amore dove ce n’é bisogno. Vedi questo faro Edward? La sua funzione è di illuminare la rotta nella notte ai tanti navigatori erranti: esso ama così, indica la via. Così è di ognuno di noi. Deve diventare luce per portare amore ”.
Ci fu silenzio tra loro.
Improvvisamente tornò il sorriso sul volto di Edward, ora sapeva che cosa doveva fare. Correre dai suoi genitori e dire loro quanto li amava con un gesto tanto semplice quanto intenso, con un abbraccio.
Il desiderio di essere amato aveva incontrato l’Amore.
L’arcobaleno che poche ore fa si era posato sul faro ora non c’era più, si era “spento” dopo aver dato “luce”; la luce di un incontro importante, la luce attraverso esso, di una consapevolezza nuova: AMARE come DARE, ANDARE, ABBRACCIARE…semplicemente, gioiosamente.
Fu così per il vecchio Jhon; sarà così per il piccolo Edward. E per te?
Lucia Cesini